Archivio mensile:ottobre 2008

Rappresentanza (d. civ.) artt. 1387-1400 c.c.

Rientrando nel più ampio fenomeno della collaborazione negoziale sotto forma di sostituzione [vedi], la (—) può definirsi come quella figura di sostituzione per cui un determinato soggetto (rappresentante) compie il negozio nell’interesse di un altro soggetto (rappresentato).
Della (—) abbiamo due forme:
diretta, quando il rappresentante agisce non solo per conto (e cioè nell’interesse), ma anche in nome del rappresentato. In tal caso si ha la spendita del nome altrui (contemplatio domini) e il verificarsi degli effetti del negozio direttamente ed unicamente nella sfera giuridica del rappresentato;
indiretta, quando il rappresentante agisce solo per conto, ma non in nome del rappresentato. In tal caso il rappresentante agisce in nome proprio, senza spendere il nome del rappresentato e gli effetti giuridici del negozio si realizzano nella sfera giuridica del rappresentante, per cui sarà necessario il compimento di un’ulteriore attività affinché tali effetti possano riversarsi definitivamente in capo al rappresentato.
Avendo rilievo, nei rapporti con i terzi, la volontà del rappresentante, è di essa che si terrà conto nel rilevare eventuali
vizi del volere: la loro sussistenza renderà annullabile il contratto concluso per (—).
Nel caso in cui il rappresentante abbia agito senza poteri ovvero abbia ecceduto i poteri conferitigli (
falsus procurator), l’art. 1398 pone a suo carico la responsabilità per il danno sofferto dal terzo contraente che, immune da colpa, abbia confidato nella piena validità del contratto. Ciò, sempreché non intervenga in tempo utile la ratifica da parte dell’interessato, atto con cui viene sanato il difetto o l’eccesso del potere di (—) retroattivamente, senza pregiudicare i diritti acquisiti dai terzi (art. 1399).
• (
) apparente
Si configura allorquando lo pseudo-rappresentato, con il proprio comportamento di tolleranza nei confronti dell’agire del
falsus procurator, dia causa all’apparente legittimazione del medesimo, ingenerando nei terzi, senza loro colpa, un ragionevole affidamento sulla sussistenza del potere rappresentativo. In tal caso lo pseudo-rappresentato risponde dell’operato del rappresentante apparente ed è vincolato dal contratto da questi concluso.
• (
) legale
In tale ipotesi è la legge che conferisce i poteri al rappresentante. La (—) legale presuppone
iuris et de iure l’impossibilità giuridica del rappresentato di compiere determinati atti (incapacità di agire) e, in taluni casi, può venire meno con l’acquisto della capacità di agire [vedi] da parte del rappresentato.
• (
) organica
Indica il potere rappresentativo che compete agli
organi esterni [vedi Organi sociali] di un ente giuridico.
L’
organo che stipula un contratto non si sostituisce all’ente ma agisce come parte integrante di esso. L’attività dell’organo è quindi attività di una parte dell’ente e come tale viene imputata all’ente stesso. La (—) organica rileva principalmente ai fini della responsabilità [vedi] extracontrattuale.
• (
) passiva
Con tale termine si indica il potere del rappresentante di
ricevere atti o prestazioni in nome e per conto del rappresentato; essa si contrappone alla (—) attiva che è quella tipica e che consiste nel compimento di atti in nome e per conto del rappresentato.
Un esempio di (—) passiva si ha all’art. 1188 c.c. che prevede che il rappresentante del creditore sia legittimato a ricevere la prestazione.
La (—) attiva comprende sempre anche quella passiva.

• (
) volontaria
Tale figura ha come
fondamento una valutazione del rappresentato che, nell’ambito dell’autonomia negoziale [vedi], ritiene più proficuo agire a mezzo di sostituti e con la procura [vedi] conferisce ad un’altra persona il potere di rappresentarlo.
La (—)
volontaria non può trovar luogo in tutti quei negozi per il cui compimento la legge non ammette soggetti diversi dal titolare del diritto (testamento, donazione, matrimonio).
Nel campo dei rapporti internazional-privatistici, la (—) è regolata dalla legge dello Stato in cui il rappresentante ha la propria sede professionale, o da quella dello Stato in cui costui esercita i suoi poteri nel caso concreto (art. 60 L. 218/95).

Commesso (d. comm.) artt. 2210-2213 c.c

 Ausiliario dell’imprenditore [vedi], che esercita attività subordinate di concetto o materiali, estranee a funzioni direttive.
I commessi possono essere:
— preposti alla vendita nei locali dell’impresa, cd. (—)
di negozio;
— incaricati della
vendita da piazza a piazza [vedi Compravendita], cd. (—) viaggiatori.
Essi
non possono esigere il prezzo delle merci delle quali non facciano la consegna, né concedere dilazioni o sconti che non siano di uso (art. 2210 c.c.); non possono derogare alle condizioni generali di contratto o alle clausole stampate sui moduli dell’impresa senza una speciale autorizzazione scritta (art. 2211 c.c.); non possono esigere il prezzo delle merci vendute fuori dai locali di vendita, né nei locali stessi se alla riscossione è destinata un’apposita cassa (art. 2213 c.c.); non possono acquistare in proprio merci vendute nel negozio ad un prezzo inferiore a quello fissato per la vendita al pubblico, salvo autorizzazione dell’imprenditore (art. 1395 c.c.).

Procura (d. civ.) artt. 1387-1400 c.c

È il negozio col quale una persona conferisce ad un’altra il potere di rappresentarla. È un atto a rilevanza esterna, perché incide sui rapporti esterni tra il rappresentato ed i terzi: il rappresentante, infatti, acquista il potere di impegnare direttamente il rappresentato con i terzi coi quali viene in contatto.
La (—) deve essere conferita con la stessa forma prescritta dalla legge per il negozio che il rappresentante deve concludere (così, ad esempio, la procura per la vendita di un immobile richiede necessariamente la forma scritta ex art. 1392 c.c.).
La (—) può essere:
— espressa, se l’interessato esplicitamente conferisce ad un soggetto il potere di rappresentanza (anche verbalmente), o tacita, se risulta da fatti concludenti (es.: il commesso del negozio addetto alle vendite è autorizzato a vendere);
— generale, se riguarda tutti gli affari del rappresentato, o speciale, se riguarda solo uno o più affari determinati. La (—) generale comprende, di regola, solo gli atti di ordinaria amministrazione;
— revocabile, come generalmente accade, o irrevocabile se conferita anche nell’interesse del rappresentante o di terzi.
Anche se spesso la (—) è contenuta in un mandato, è necessario distinguere i due negozi: il mandato è un
contratto [vedi] (negozio bilaterale) mentre la (—) è negozio unilaterale; la (—) può essere anche collegata ad un negozio diverso dal mandato (es.: rapporto institorio, che è un rapporto di lavoro); il mandato può anche essere senza rappresentanza (art. 1704 c.c.).
Ai sensi dell’art. 1396 c.c., le modificazioni e la revoca della procura devono essere portate a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. In mancanza, esse non sono opponibili ai terzi, se non si prova che questi le conoscevano al momento della conclusione del contratto (cd. pubblicità di fatto).

…studenti ispirati al mio weblog…

….mi è stato segnalato che studenti universitari della cattolica (MI) hanno trovato delle pubblicazioni interessanti dove si sono ispirati alla tesi di laurea. Ciò mi rende fiero inquanto utile alla società che oltre ad essere informativo il mio blog svolge anche la funzione di istruttivo. tutto questo mi incoraggia di più a continuare nelle pubblicazioni che ritengo importani e coerenti. Mi farebbe piacere che i miei visitatori lascierasero dei commenti su quello che trovano utile e su quello da evitare.

Buona Lettura a tutti

Razzismo

Il termine razzismo è composto da razza, dal latino generatio oppure ratio, con il significato di natura, qualità e ismo, suffisso latino -ismus di origine greca -ισμός (-ismòs), con medesimo significato di “classificazione” o “categorizzazione”, qui inteso come astratto collettivo, sistema di idee, fazione e, per estensione, partito politico che può sottintendere significati differenti:

  1. storicamente rappresenta un insieme di teorie, rivelatesi poi errate, con fondamenti e preconcetti anche molto antichi, manifestatisi in ogni tempo con pratiche di oppressione e segregazione razziale, che sostengono che la specie umana sarebbe un insieme di razze, biologicamente differenti, e gerarchicamente ineguali. Tra gli ispiratori ideologici degli aspetti contemporanei di questa teoria vi fu l’aristocratico francese Joseph Arthur de Gobineau, autore di un Essai sur l’inégalité des races humaines[1] (Saggio sulla diseguaglianza delle razze umane, 1853-1855). Nel XIX secolo il razzismo ebbe una triste dignità scientifica, al punto da venire oggi chiamata dagli storici razzismo scientifico. Intorno al 1850 il razzismo esce dall’ambito scientifico e assume una connotazione politica, diventando l’alibi con cui si cerca di giustificare la legittimità di prevaricazioni e violenze. Una delle massime espressioni di questo uso è stato il nazismo.
  2. in senso colloquiale definisce ogni atteggiamento attivo di intolleranza (che può tradursi in minacce, discriminazione, violenza) verso gruppi di persone identificabili attraverso la loro cultura, religione, etnia, sesso, sessualità, aspetto fisico o altre caratteristiche. In tale senso, però, sarebbero più precisi, anche se sono raramente usati nel linguaggio corrente, termini come xenofobia o meglio ancora etnocentrismo
  3. in senso più lato comprende anche ogni atteggiamento passivo di insofferenza, pregiudizio, discriminazione, teso a pretendere un atteggiamento di considerazione particolare da parte di gruppi di persone che si identificano attraverso la loro cultura, religione, etnia, sesso, sessualità, aspetto fisico o altre caratteristiche.
  4. ……….nessuno lo ammette ma tutti sono razzisti, al mio avviso il razzismo è una cosa naturale. Il mio invito è di non dimostrarlo perché la dimostrazione lo rende negativo. Ovviamente le persone stupide sono brave a cadere nella trappola e solamente grazie a loro che i media ci hanno riempito la testa in questi giorni. “IO SONO RAZZISTA PERCHE’ SONO UMANO MA LO EVITO AL MASSIMO PER NON OFFENDERE IL PROSSIMO”. 

IL CORPUS IURIS – Flavius Petrus Sabbatius Iustinianus nacque nel 482 d.C a Tauresium in Dardania

Flavius Petrus Sabbatius Iustinianus nacque nel 482 d.C a Tauresium in Dardania, regione

IUSTINIANUS

IUSTINIANUS

 periferica dell’impero d’Oriente fra le attuali Macedonia ed Albania, di lingua latina, da famiglia di modeste condizioni. Raggiunta Costantinopoli al seguito di Giustino, il fratello della madre che aveva intrapreso la carriera militare, vi ottenne probabilmente una buona educazione scolastica. Se ne perdono le tracce fino al 518 quando, alla morte dell’imperatore Anastasio I dopo un regno di 27 anni, i contrasti successori si conclusero, nel luglio del 518, con l’investitura imperiale di Giustino, lo zio di Giustiniano, che, già in età avanzata (sessantasei o sessantotto anni), divenne Giustino I. Giustiniano, ovviamente avvantaggiato da questo evento, ottiene subito posizioni di rilievo e collaborò, anche in veste ufficiale, alla politica imperiale, in primo luogo al riavvicinamento al papato romano e al regno gotico in Italia, in seguito al rifiuto delle tendenze monofisite del predecessore Anastasio.

Nel 524-5 circa, Giustiniano sposò Teodora, ex attrice la cui forte personalità influenzò non solo la vita privata di Giustiniano ma, talvolta, le sue stesse scelte politiche. Il matrimonio, osteggiato – pare – dall’imperatrice Eufemia, moglie di Giustino, fu celebrato alla morte di questa, in seguito probabilmente all’apposita abrogazione del divieto di matrimonio fra i membri della nobiltà senatoria e le attrici di teatro. Le tavole IX e X mostrano Giustiniano e Teodora con il loro seguito, raffigurati nei mosaici dell’abside della chiesa di San Vitale a Ravenna (consacrata nel 547, dopo la riconquista giustinianea), nell’atto di offrire l’ostia consacrata e il calice del vino eucaristico: a fianco dell’imperatore, a sinistra, soldati e e dignitari, a destra, religiosi con incensario ed evangeliario, il vescovo di Ravenna Massimiano e un personaggio forse identificabile con il banchiere ravennate Giuliano Argentario, finanziatore della chiesa. Accanto a Teodora, sette dame in abiti di corte e due dignitari eunuchi, uno dei quali raffigurato nell’atto di sollevare la tenda verso il nartece della chiesa.

Giustiniano assunse il titolo di Augusto e la coreggenza dell’impero d’oriente il 1° aprile 527, a causa del peggioramento delle condizioni di salute di Giustino, restando, per la morte dello zio, unico imperatore il 1° agosto dello stesso anno. Da questa data è immediata l’impiego di Giustiniano nel campo del diritto. La raccolta di costituzioni imperiali (Codex) vede la luce nel 533, dal Digesto o Pandette – scelta di frammenti tratti dalla produzione letteraria della giurisprudenza classica – e delle Istituzioni – trattato giuridico elementare per studenti -, dalla seconda edizione del Codex nel 534 e, dal 535 al 565, anno di morte dell’imperatore, dalle Novelle, la successiva legislazione giustinianea. La stesura del Digesto, del Codice e delle Istituzioni risale alla prima fase del regno giustinianeo. Una seconda fase, compresa tra il 535 e il 541-42, è caratterizzata dalla emissione di numerose Novellae, che spesso riformano interi settori dell’ordinamento. Nella terza fase, dal 543 al 565, anno di morte di Giustiniano, la produzione di novelle diviene più scarsa e tecnicamente meno pregevole, anche a causa della scomparsa dei migliori collaboratori di Giustiniano in campo giuridico (Triboniano morì nel 542, Giovani di Cappadocia fu deposto nel 541).